Albenga e il territorio

San Giorgio e la sua divina commedia

L’enigma di Dante, Virgilio e il Conte Ugolino negli affreschi della chiesa

San Giorgio e la sua divina commedia
San Giorgio e la sua divina commedia

Continuiamo il nostro viaggio alla scoperta delle ricchezze artistiche del nostro territorio e andiamo a visitare la Chiesa di San Giorgio, un edificio religioso fondato prima del Mille, la cui storia si intreccia anche con quella della chiesetta di Morteo (vedi numero primaverile di questo periodico n.d.r.).
San Giorgio, infatti, è stata la chiesa di riferimento di molte piccole comunità, alcune delle quali ora scomparse, come Signola, Paerno, la su citata Morteo ed altri centri tuttora esistenti (come Peagna o Campochiesa).
Nel Medioevo la chiesa era spesso indicata con il nome di “San Giorgio de pratis”, per i prati che la circondavano e che venivano tagliati dalla via Julia Augusta (il cui tracciato ancora oggi viene definito “Via Romana”) al margine della quale sorgeva proprio questo antichissimo edificio di culto.
La fondazione probabilmente va fatta risalire ai benedettini; questa chiesa, infatti, rimase sempre un Priorato dipendente dall’abbazia di Santa Maria che aveva sede sull’Isola Gallinaria, di fronte alla città di Albenga; i monaci risedettero in San Giorgio fino al 1616, anno in cui venne istituita la parrocchia del vicino centro di Campochiesa, e questa chiesa divenne commenda per il nuovo parroco, in seguito progressivamente abbandonata. Trasformata in chiesa cimiteriale, nel 1887 fu gravemente danneggiata da un violento terremoto che causò il crollo della navata destra e, a un anno di distanza, anche della torre campanaria.
Tutto il complesso è stato oggetto di restauri a più riprese, iniziati fin dal 1901.

La struttura architettonica

La chiesa romanica primitiva era costruita, come appare evidente guardando la facciata, con diversi materiali. Particolari sono le tre finestre a croce, simbolo della Trinità e del sacrificio di Cristo, che si aprivano nella muratura romanica.
La porta, simbolo di Cristo che nel Vangelo di Giovanni ha definito se stesso “porta delle pecore” (i fedeli che attraverso di Lui entrano nella salvezza), è originaria e non ha mai subito trasformazioni.
Nel secolo XIV l’edificio è stato interessato da interventi di ampliamento e di innalzamento, mentre sulla facciata venne aperta una trifora che richiama simbolicamente le tre Persone Divine (le tre luci) e le due nature di Cristo, l’umana e la divina (le due colonnine in marmo). Nel fianco sud-est, verso l’attuale chiesa parrocchiale, si ricavarono tre finestrelle (un ulteriore richiamo alla Trinità) e le absidi furono realizzate in forma rettangolare.

Gli affreschi interni

Se la chiesa di San Giorgio ha un’architettura affascinante, risultano senz’altro sorprendenti i suoi affreschi interni. La chiesa, infatti, conserva un prezioso ciclo di affreschi che copre un arco di tempo compreso fra il XIII e il XVI secolo e che testimonia le fasi di sviluppo e di decadenza dell’edificio e dell’intera area che vi gravitava intorno. Sulle pareti laterali della navata centrale ci sono affreschi del Trecento, mentre il Giudizio finale sulla parete di fondo risale al Quattrocento.
Sulla parete di fondo, nel Quattrocento, venne tamponata la grande finestra che vi si apriva e si realizzò l’affresco del Giudizio finale, l’opera pittorica più notevole dell’intero ciclo. Alla sommità c’è il Cristo giudice seduto in trono e racchiuso entro una mandorla (simbolo di gloria) che mostra le piaghe della Passione ed è accompagnato da angeli che ne sorreggono le insegne. Alza la destra in segno di favore verso quelli alla sua destra, i beati, e abbassa la sinistra verso quelli alla sua sinistra, i dannati.
Al di sotto, entro anfratti rocciosi, le punizioni dei sette vizi capitali.
Ma è al centro, al di sotto della rappresentazione di Re Salomone, la scena che ha reso famosa questa chiesa anche al di fuori dei confini locali: l’incontro di Dante, accompagnato da Virgilio, con il Conte Ugolino che sta rosicchiando il cranio dell’Arcivescovo Ruggieri (l’episodio è descritto da Dante nella Divina Commedia, nel canto XXXIII dell’Inferno). Ancora al di sotto, entro buche infuocate, i falsi testimoni. A sinistra, emergenti dai sepolcri, i corpi dei risuscitati. Al limite inferiore dell’affresco, una scritta indica il nome del committente e l’anno di esecuzione, ma non il nome dell’artista: nell’anno del Signore 1446, il giorno 13 Dicembre, io, frate Antonio Caresia, priore di San Giorgio, ho fatto realizzare quest’opera.
Il professor Carlo Lanteri, che ha dedicato studi ed una pubblicazione a questa chiesa, spiega: “E’ davvero molto raro trovare questo motivo iconografico in un affresco (attestato per lo più in miniature); questo fatto testimonia da una parte la fortuna del poema dantesco, anche in un ambiente rurale come quello in cui sorgeva la chiesa di San Giorgio, e dall’altro un riferimento senz’altro intenzionale a qualche fatto particolare, per noi oggi misterioso, ma certamente ben noto al committente e forse anche ai fedeli che frequentavano questa chiesa all’epoca in cui l’affresco venne realizzato.
Sotto l’anfratto roccioso in cui in cui è alloggiata la scena dantesca ci sono i “falsi testimoni”. Non è chiaro se questa scena vada collegata all’episodio dantesco o alla scena della punizione dell’invidia; è pur vero che questa categoria di dannati non trova nel poema dantesco la stessa collocazione che troviamo nel nostro Giudizio Universale ma è probabile che la posizione possa

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